Chesta è ‘a morte soia
A long time ago. L’autunno caldo riscaldava i nostri cuori di ragazzo e alla voce “lotte” anche io potevo annoverare l’occupazione dell’Istituto Tecnico Industriale Statale di Caivano (Na). Era l’ultimo dell’anno, e papà era come ogni anno incaricato di comprare e cucinare il capitone. Per la verità, più che un incarico era una necessità, perché nostra madre, che mal sopportava qualunque tipo di pesce (della serie puzza, fa fummo, sporca ’e piastrelle da cucina e dopo pé pulezzà aggià fà nà faticata), per il capitone nutriva un vero e proprio risentimento, che dico, un odio sincero.
A pensarci adesso, il modo in cui venivano uccisi i suddetti capitoni era da codice penale, tipo la rana della barzelletta: metti i capitoni vivi nella pentola con acqua fredda; accendi il fornello; non mollare mai il coperchio fino a quando i capitoni non passano a miglior (per chi se li mangia) vita. Ora, come in tutte le faccende della vita, il fatto che una cosa non era mai capitata non voleva dire che non sarebbe mai capitata e così quella volta uno dei capitoni riuscì a fuggire dalla pentola e a infilarsi tra la cucina e il lavello. Non vi dico cosa fu. Mamma che imprecava invocando la caccia al capitone. Papà che “metteva ’a coppa” ricordando che se lasciava il coperchio i capitoni in giro sarebbero diventati sette (come da devozione, uno per ciascun componente della famiglia, compreso zio Peppino, non fa niente che Gaetano all’epoca aveva 6-7 anni e Nunzia 2-3). Io, Antonio e zio Peppino che ridevamo da pazzi, Gaetano che ci guardava come dei matti e Nunzia che piangeva.
Tanti anni dopo debbo ammettere che papà adottò la strategia giusta. Cucinati i capitoni rimasti nella pentola, li mise in un piatto, spostò la pentola con l’acqua bollente sul tavolo, spostò la cucina, si infilò dietro al lavello, riacchiappò con l’aiuto di un panno lo scivoloso fuggiasco, lo buttò nell’acqua bollente, riaccese il fornello e pronunciò il fatidico verdetto: “chesta è ‘a morte soia”.
Sapete che vi dico? Certe volte sogno di essere governato da persone come papà. Naturalmente non come papà nel senso di muratore, piastrellista, idraulico, elettricista con la quinta elementare come papà. Nel senso di governanti in grado di definire una strategia per affrontare i problemi, di metterla in pratica, di risolvere i problemi e di dire ai cittadini “questa è la morte sua”.
Dite che con il capitone è più facile che con la fuga dei cuori e dei cervelli? Come negarlo. Ma se fosse stata la stessa cosa papà non avrebbe fatto il muratore, piastrellista, idraulico, elettricista ma l’uomo di governo.