Meglio diplomati che laureati?
Napoli. Fine settembre. Presentazione di un volume sull’università a La Feltrinelli Libri e Musica si Piazza Dei Martiri. A seguire il dibattito. Particolarmente acceso. Come peraltro era prevedibile. Dato il tema.
Al centro della discussione ci sono infatti i tratti salienti della condizione del nostro sistema universitario al termine del primo ciclo di applicazione della riforma del 1999, che avrebbe dovuto elevare il livello del nostro sistema universitario e, insieme, metterlo in condizione di operare in modo più razionale, efficace ed efficiente rispetto al passato; la crisi profonda nella quale versa invece la nostra università, caratterizzata da incongruenze, errori, furbizie, favoritismi e perversioni di ogni tipo; le decisioni da prendere per definire linee e regole serie, il più possibile condivise, di riprogettazione sia dell’assetto complessivo degli studi universitari nel nostro Paese sia delle prospettive del loro sviluppo.
La mattina dopo trovo nella mia casella la seguente mail:
“[…] Mi è dispiaciuto moltissimo andar via e non aver ascoltato le risposte ai tanti quesiti posti dal pubblico.
In realtà anche io avrei voluto fare un piccolo intervento ma, anche un pò per timidezza, non mi sono esposto.
Ciò che avrei voluto fare è aprire una piccola parentesi su quelle che sono le conseguenze di questa condizione universitaria; parlare degli effetti malefici che tutto ciò che è stato oggetto di dibattito questa sera finisce con l’avere quando, terminati gli studi, bisogna fare il gran passo verso il mondo del lavoro.
Ad esempio nell’azienda per la quale lavoro (una società di ingegneria di oltre mille dipendenti dove la ricerca industriale è pane quotidiano e l’innovazione del prodotto è il core business) accade sempre più spesso che si preferisce esaminare un diplomato a massimo punteggio che un laureato del nuovo ordinamento, con il risultato che la percentuale di laureati in azienda, che superava il 90% fino al 2002, è oggi dell’85%, a parità di organico.
Il dato mi sembra estremamente preoccupante. E ancora di più lo è il fatto che le nuove generazioni si affacciano in un contesto lavorativo di tipo globale avendo molte carte in meno a propria disposizione a causa della inadeguata preparazione rispetto ai colleghi europei”.
Che dire?
Che di fronte a considerazioni di questo tipo si rischia di rimanere senza parole.
Che c’è da sperare che l’azienda nella quale lavora F. C. rappresenti un’eccezione e/o che le sue scelte derivino da ragioni diverse da quelle che egli prospetta (agevolazioni finanziarie, minor costo del lavoro ecc.).
Che ciò che è certo e che la riforma che doveva portare le nostra università in Europa e soprattutto doveva consentire ai nostri giovani di trovare più facilmente lavoro sta clamorosamente fallendo su ambedue i terreni.
Che contiamo di scoprire, anche con il vostro aiuto, se davvero i diplomati trovano lavoro nell’industria prima dei laureati di primo livello.
Fateci sapere cosa ne pensate.
E segnalateci casi ed esempi concreti di cui siete a conoscenza.