I nonni raccontano
Il progetto “I nonni raccontono” nasce una decina di anni fa per iniziativa di Reporters Online (indimenticabile pioneristica esperienza di giornalismo digitale, alla quale ho avuto l’onore di partecipare, promossa da Luca De Biase) e Tim. L’idea è semplice, geniale, innovativa: un portale dedicato alle storie che nonne e nonni più e meno famose/i raccontano ai ragazzi. E’ stato un gran successo, poi col passare degli anni, man mano, se ne sono perse le tracce. Ho ritrovato per caso, per casa, la stampa delle storie che ho raccolto io (una decina). Nonostante i tanti impicci, ho deciso di riscriverle e di riproporle qui. A me sembra una buona idea. E a voi?
AFFETTUOSI AVVISI PER FUTURI NAVIGANTI
Racconto di Enzo Giustino
Trascritto da Vincenzo Moretti
Cari ragazzi,
quando ci si riferisce a voi, almeno per me è così, non bisogna mai rinunciare a mettere qualche piccolo messaggio nella bottiglia. Se poi si riesce a farlo con un pizzico di simpatia, senza supponenza, è certamente meglio. E’ così che dal baule dei ricordi è venuta fuori la storia che sto per racocntarvi. Se sono riuscito nel mio intneto, come è ovvio, sarete voia stabilirlo. Per me è importante averci provato.
Ma veniamo alla storia.
Ero già da qualche tempo stato eletto vice Presidente della Confindustria quando gli amici del Rotary Club, una importante associazione internazionale della quale fanno parte professionisti, personalità scientifiche e della cultura, imprenditori, negli Stati Uniti anche sindacalisti, insomma tutte persone impegnate attivamente e spesso con ruoi di responsabilità nella vita economica, sociale, istituzionale, dei diversi Paesi, mi chiesero la disponibilità dell’Avvocato Gianni Agnelli a tenere una cnferenza qui a Napoli.
Forse è bene che vi dica che a me piace definire il Rotary, per la “antica” consuetudine di socializzare esperienze, culture, idee nel corso di conferenze e incontri appositamente organizzati, una “Enciclopedia parlante”. E aggiungo, ma questo è davvero un segreto, che ai miei amici del Rotary la cosa non piace poi molto (che volete farci, un pizzico di snobismo, che per fortuna con il passare degli anni si va perdendo, in associazioni di questo tipo non manca mai).
Anche nella vita di una associazione come il Rotary ci sono, com’è ovvio, degli eventi speciali, e quello con l’Avvocato Agnelli, che gentilmente aveva aderito al mio invito, era di certo tra questi.
A testimoniarlo basta del resto il numero di partecipanti alla conferenza che ci costrinse a dividerla in due fasi: la prima, più ampia, si svolse di mattina al Castel dell’Ovo; la seconda, più raccolta, si svolse invece la sera all’Hotel Excelsior.
Il Professor Giovanni Motta, presidente del Rotary in quegli anni, mi chiese di introdurre la discussione della mattina, cosa che fui ovviamente ben lieto di fare.
Proprio in quei giorni avevo finito di leggere un libro di Vittorio Roberto Romano, che aveva raccolto tutti i proverbi e i modi di dire in uso presso i marinai di Sorrento. Il titolo del libro era “Con il vento in poppa” e regalarlo all’Avvocato mi pareva tra l’altro un modo simpatico di augurargli di trovarsi presto fuori dalle difficoltà che in quel momento la Fiat stava attraversando.
Sapevo del resto del suo amore per Napoli e per il amre e lo avevo sentito in un convegno a Palermo affermare che “l’imprenditore è un pò come i marinai norvegesi ai quali, quando il cielo è plumbeo e gravido di pioggia, basta uno spicchio di azzurro per riprendere il mare”. A pensarci oggi, in anni in cui tra i “naviganti” ci sono molti giovani che decidono, come si usa dire, di essere imprenditori di se stessi, ritengo come non mai indispensabile dotarsi di questo “spirito” nell’afforntare il “mestiere” di imprenditore, ma allora la mia citazione fu più che altro un modo per salutare l’illustre ospite e per donargli il libro.
Poi fu finalmente l’Avvocato a parlare e le sue prime parole furono, rivolto a me: “Però, caro Giustino, si ricordi che bisogna saper navigare con il vento in prua”. (Detto per inciso, fu proprio “Il vento in prua” il tuitolo che il Mattino diede il giorno dopo all’articolo di fondo in prima pagina).
Ma è bene fare un passo indietro.
La sera, come vi ho accennato, era previsto un secondo incontro con l’Avvocato all’Excelsior. Il presidente del Rotary nel ridargli il benvenuto gli porse un pacchetto dicendogli più o meno testualmnete: “Caro Avvocato, in ricordo di questo incontro le facciamo dono di qualcosa che lei non può comprare”.
L’Avvocato scartocciò con mal celata impazienza il pacchetto dal quale venne fuori un corno d’argento del ‘700 (lo sapete che i portafortuna devono essere regalati per non perdere i propri poteri?) quindi ringraziò il Professor Motta con queste parole: “Quando mi ha detto che mi stava regalando qualcosa che non posso comprare pensavo si riferisse a Maradona”.
Proprio così. Il geniale fuoriclasse argentino, il calciatore al quale più di ogni altro sono legati i due scudetti vinti dalla squadra del Napoli, era per l’Avvocato un sogno destinato, per la gioia di Napoli e dei napoletani (e dei tifosi non juventini di ogni parte d’Italia), a rimanere irrealizzato.
COSTITUZIONE E CAPPOTTO RIVOLTATO
Racconto di Ettore Combattente
Trascritto da Vincenzo Moretti
Lo rivedo, nei documentari storici ritrasmessi alla TV, il 2 giugno ogni anno: la vittoria della Repubblica, l’assemblea Costituente, l’elezione del primo Presidente, capo provvisorio dello Stato, la parata dei militari delle varie armi e il “present’arm” al Quirinale al suo passaggio, mentre, un passo indietro, sfila il capo del governo.
Lo rivedo, al Presidente Enrico De Nicola, il cappotto a doppiopetto rivoltato da papà, un vero capo d’opera, come solo lui era capace di fare.
Ci aveva messo personalmente le mani nel cucirlo, perché in casi come questi non si fidava nemmeno di Amedeo ‘o curto, il suo operaio. Del resto, occoreva la finezza della manodopera di prima della guerra, beninteso quella del del 1915-1918, non certo la seconda.
Lo rivedo, mentre inizia la parata, il Presidente passa in rassegna e dal taschino in petto a sinistra si affaccia appena una punta di fazzoletto bianco di seta. Eppure, non fu facile convincere l’illustre Presidente, quando papà fu chiamato dal suo segretario a recarsi nella residenza privata, la villa di Torre del Greco. Mi volle con sé il mio papà. “Vieni, andiamo da Sua Eccellenza il residente, mi vuole, forse vorrà rifarsi il guardaroba con tanti nuovi abiti. Ci sarà lavoro, caro figlio, e ci voleva proprio con questa mala stagione tanto lunga!”.
Prendemmo il tram, che sferragliò lungo tutto il corso San Giovanni a Teduccio, Portici, Resina e infine stazionò a Torre, da dove ci recammo a piedi fin su la bellissima villa alle falde del vesuvio.
Ci accolse una signora tanto gentile e sorridente, la governante svizzera; ci fece entrare in un salone pieno di luce con una grande veranda che affacciava dal lato del vulcuna. Mai vista così tanto da vicino il gigante brontolone, le gialle ginestre salivano su su fino quasi a voler far prorpia tutta la montagna, poi ad un certo punto la linea di colore finiva e lo scuro della pietra lavica prendeva il sopravvento con i suoi riflessi viola rifratti da un sole tiepido d’autunno. Eppure, non erano lontani i giorni della terribile eruzione del 1944, quando da Napoli avevo visto scintille, fuoco e cenere espulsi con inaudita violenza e la cenere con il vento arrivare fino da noi.
Mentre attendedevamo, papà mi parlò ancora di qanto fosse importante l’uomo che stavamo per incontrare, niente di meno che il primo Presidente della Repubblica italiana.
Ero curioso, eccitato, e fui colpito immediatamente, quando entrò, dalla sua simpatia, dalla sua cortesia verso papà e anche dellattenzione verso di me, che mi fece sentire orgoglioso.
“Don Roberto, questo giovanotto?”
“Mio figlio, Eccellenza, il mio primogenito”.
“Cosa farà da grande?”
“Per ora va a scuola, poi se sarà bravo, imparerà il mestiere”.
“Bene, bene” e mi carezzò il viso “la prossima volta che verrai avrai una bella cosa”.
Cosa sarebbe stata quella bella cosa? Cosa voleva darmi il Presidente? La mia curiosità era destinata a rimanere inappagata tutta la vita!
Papà, intanto, speranzoso, stava cominciando a sfogliare, per mostrarle, le mazzette del campionario di stoffe, tirandole fuori da na grossa scatola che aveva portato con se, ma fu fermato dalla Governante, che era entrata portando un vecchio cappotto.
Il Presidente disse allora:”Questo me lo dovete rivoltare, e mi serve al più presto”.
“Presto proprio, non è possibile, bisogna scucirlo per bene e portarlo dal sarcitore”.
“No, no, non c’è bisogno, rivoltatelo semplicemente così com’è”.
“Mi perdoni, Eccellenza, ma ilt aschino a destra, proprio no, non è possibile! Bisogna fare la sarcitura”.
“Quanto costa?”
“Beh!, quanto è necessario per un lavoro di grande precisione, ma sarà come nuovo, glielo garantisco. E poi la stoffa è buona, è roba inglese”.
LA PENTOLA DI CHAYRA
Racconto di Maurizio Valenzi
Trascritto da Vincenzo Moretti
Miei cari ragazzi,
la storia che sto per raccontarvi si svolge in un villaggio alla perifera di Tunisi, già allora considerata dal popolo arabo una grande città, ed ha come protagonista Chayra, un contadino un pò svagato, di quelli che a prima vista sembrano dei sempliciotti destinati a essere presi in giro dall’intero villaggio ma che in realtà sono assai svegli, furbetti e capaci di mettere nel sacco chiunque. Se posso fare un paragone, direi che Chayra assomiglia un po’ al nostro Pulcinella, ma questo alla fine della storia di certo potrete giudicarlo voi meglio di me.
Un giorno non molto diverso da tanti altri Chayra ricevette la visita dei suoi sette fratelli, che le vicende della vita avevano portato da troppi anni lontano dal villaggio. La sua gioia fu davvero grande, e decise che quella era l’occasione giusta per preparare un pranzo degno di tal nome, nel quale ovviamente non poteva mancare il cous cous.
Ora dovete sapere che il cous cous, pallottoline di farina con un sapore abbastanza simile a quello del nostro semolino, nel nord Africa è un piatto-base molto usato, e va cucinato a vapore. Al tempo della nostra storia ciò avveniva nel seguente modo: si prendeva una pentola con dell’acqua, la si metteva sul fuoco appositamente preparato nel braciere e ci si appoggiava sopra una seconda pentola con tanti piccoli buchi sul fondo (una specie di parente povera di quella che oggi le vostre mamme chiamano vaporiera), nella quale si metteva il cous cous che si faceva cuocere, per l’appunto, a vapore.
Immaginate ora il disappunto del nostro amico Chayra quando si accorse di non avere una pentola con i buchi sufficientemente capiente. Non si perse però d’animo, e recatosi dalla contadina sua vicina, che aveva una famiglia assai numerosa, le chiese se per cortesia poteva prestargli una pentola per preparare il cous cous per otto persone.
“le mie pentole sono troppo piccole”, le disse in tono supplichevole, “e se non mi aiuti finirò col fare una brutta figura con i miei fratelli che non vedo da tanto tempo”.
La contadina non seppe o non volle dirlgli di no, ma si racocmandò di riportargliela al più presto.
“Ci tengo molto alla mia pentola e se non me la riporti indietro ti farò bastonare dai miei figli”.
Passarono quasi due settimane senza che di Chayra si avessero notizie. La donna, alla quale le usanze del luogo non permettevano di recarsi a casa di un uomo, pensò allora di mandare il figlio maggiore a chiamarlo. Potete immaginare la sua sorpresa quando vide che Chayra le portò, assieme alla pentola avuta in prestito, che lei temeva ormai di non rivedere più, anche una pentola più piccola.
“Perché mi porti questa piccola pentola?”, chiese la contadina.
“Perché la petola grande ha partorito. E poiché la pentola madre era tua anche la pentola figlia spetta a te”.
La contadina pensò che Chayra fosse per davvero un po’ matto, ma accettò di buon grado il regalo, una pentola in pù in casa, per quanto piccola, avrebbe fatto comodo.
Passò qualche tempo e vennero i giorni del Mouled, una festa araba che è una specie di Pasqua, nel corso della quale si mangiano piatti tipici come il cous cous e il montone.
Chayra si ripresentò allora a casa della contadina.
“Per favore” le disse “puoi prestarmi la pentola con i buchi più grande che hai? Per la festa del Mouled verranno a trovarmi i miei fratelli con le mogli e i figli, e non so proprio come fare per preparare il cous cous”.
La contadina fu ben lieta di prestargli la sua pentola più preziosa, anche perché in cuor suo sperava che partrisse anche questa volta, magari una pentola un po’ più grande di quella precedente.
Chayra si portò via la pentola e, come la volta prima, non fece più avere notizie di sé. Trascorse due settimane, la contadina mando ancora una volta il figlio a chedergli di riportare la pentola.
Potete immaginare la sua sorpresa quando vide ritornare il so ragazzo senza Chayra e senza pentola.
“Dov’è Chayra? E che fine ha fatto la mia pentola?” chiese la contadina fuori di sé.
“Chayra è a casa che prega per la pentola che è morta di parto” fu la risposta.