Con la propria testa e con le proprie mani
Come farà “l’uomo flessibile” a ritrovare, mentre salta continuamente (quando ha la fortuna di vivere nella parte “giusto” della parte ricca del mondo) da un lavoro ad un altro, il filo di una storia, per l’appunto quella della propria vita lavorativa?
La domanda è, come è noto, per tante ragioni assai meno bizzarra di quanto appaia a prima vista.
E’ stato proprio attraverso il lavoro che intere generazioni di uomini e donne sono riuscite, più o meno consapevolmente, con più o meno successo, a dare qualche risposta al bisogno di sapere “chi siamo” e di condividere con altri idee, progetti, aspettative.
Era il secolo breve, e si poteva ancora essere operaio dell’Italsider o della Pirelli, tecnico dell’Ansaldo o della Fiat per tutto l’arco della vita. E l’avere questo filo conduttore consentiva di ridurre l’incertezza, di connettersi con gli altri, di avere identità e dunque futuro.
Il fatto che questa possibilità non ci sia più causa cambiamento di paradigma, impone la necessità di rintracciare nuovi modi per definirci, riconoscerci, interagire, nella durata.
Perché si possono (forse) anche cambiare 10 lavori nell’arco di una vita, ma (forse?) non si può fare una vita nella quale ogni volta che si cambia lavoro si ricomincia tutto daccapo.
La discussione come è noto è aperta da tempo, vi partecipano prestigiose istituzioni nazionali, europee, mondiali assieme a intellettuali, partiti, sindacati, semplici cittadini, e grande spazio viene dato al suo interno alla discussione sulla formazione, la conoscenza, i saperi.
In questo ambito vi segnaliamo l’attivazione su AustroeAquilone, la fabbrica dei contenuti e Smile.it, il portale della formazione e dell’educazione, (www.smile.it) di un forum online dove, oltre a leggere le cose dette da Bassolino, Callieri, Foa, Ranieri, Trentin, nel corso della presentazione del libro “Il tempo del sapere” di Vittorio Foa e Andrea Ranieri, (Einaudi), tutti coloro che hanno voglia di partecipare con le loro opinioni e le loro idee al dibattito in corso possono inviare i loro interventi e vederli pubblicati.
State pensando che la discussione è troppo impegnata? Che abbiamo bisogno di fatti e non di parole? Vi sbagliate.
Perché, come ha scritto Ludwig Wittgenstein, “la misura del significato delle nostre parole è saldata alla loro capacità di far agire”.
Perché, come ci ricorda Salvatore Veca, è attraverso le parole, il linguaggio, che possiamo accedere alle cose che compongono il nostro mondo.
Perché abbiamo bisogno di trovare parole, idee, concetti in grado di definire, farci conoscere, farci “maneggiare” i cambiamenti in atto. E di strumenti e opportunità con i quali contribuire alla definizione di luoghi e contenuti del discorso pubblico. In maniera autonoma. Ciascuno con la propria testa e le proprie mani.