Ritorno a Cotronei. Episodio 1
In un certo senso è un ossimoro, nel senso che non si può dire «vado per la prima volta nel paese in cui sono nato», se sei nato lì ci sei stato, è per definizione il primo posto in cui sei stato, però la verità resta che a Cotronei, sulla Sila – al tempo provincia di Catanzaro oggi provincia di Crotone – io ci sono nato eppure ci vado per la prima volta tra due giorni, il primo aprile, a 60, 6 mesi e 20 giorni compiuti.
Non so quante persone abbiano avuto un’esperienza come questa, soprattutto non so come l’hanno vissuta, provo a raccontare come l’ho vissuta io, sperando che vi piaccia.
Per prima cosa voglio dire che tra gli ultimi anni cinquanta e i primissimi anni 60 nelle famiglie come la mia alcune cose c’erano e altre invece no.
Tra le cose che c’erano alcune non sono state importanti, sono state decisive, scrivo solo le parole che per ciascuna di loro si potrebbe scrivere un libro: amore, famiglia, onestà, educazione, lavoro, scuola, rispetto, solidarietà, amicizia.
Tra le cose che non c’erano – naturalmente non proprio del tutto, ma quasi – alcune sarebbe state meglio averne di più ma anche senza poi non è che chissà quanto ci abbiamo sofferto – soprattutto io e Antonio, i due più grandi, che quando sono arrivati Gaetano e soprattutto Nunzia le cose almeno in parte erano già un poco migliorate -, e comunque sia chiaro che i nostri meravigliosi genitori hanno sempre dato tutto per noi ed è anche giusto che alcune delle cose che mancavano in casa poi ce le portassimo noi. Per darvi un’idea tra i miei ricordi c’è la casa di via Savatore Girardi n°1 , una traversa di corso Secondigliano, una stanza di meno di 20 metri quadri gabinetto compreso dove oltre a papà, a mamma a me e ad Antonio è vissuta per qualche anno, fino alla sua morte, zia Giovannina, che immagino fosse zia di mio padre ma non ne sono sicuro. Poi ci sono stati gli anni della casa di via Cupa dell’Arco 41, di fronte al campo di calcio, sempre una sola stanza però più grande con n bagnetto dove è nato Gaetano, dicembre 1962, e dove credo siamo restati fino al 64-65, prima di trasferirci nel nostro primo quartino (appartamento con più stanze) prima nel palazzo Limone, di fianco al cinema Arcobaleno, e poi al corso d’Italia, sempre a Secondigliano. Ricordo i cappottini che passavano dai miei cugini più grandi a me e poi ad Antonio, ricordo che non c’erano libri in casa, o dischi, per i primi anni neanche la televisione, e che c’erano poche foto e persino pochi ricordi, nel senso che non si riusciva mai a sapere con precisione quando era accaduta una cosa, tipo a che ora precisa sono nato, perché zio Peppino era andato a fare il soldato in Africa e dove precisamente aveva prestato servizio, in che giorno era nata mia madre (si, lo giuro), in che giorno si erano sposati papà e mamma (mai saputo), insomma i nostri ricordi di famiglia sono stati sempre avvolti nella nebbia, come se ci fosse poco o nulla da ricordare.
Detto con la mano sul cuore, perché è la verità, che non ricordo mai che mi sia mancato nulla, che sono cresciuto felice con i miei cugini, mio fratello e miei amici senza avvertire complessi, difficoltà, problemi di alcun tipo, nemmeno di essere così lungo e secco perché tanto tutti avevamo un soprannome o un difetto, aggiungo che da grande – nel senso di adulto – mi sono fatto l’idea che questa scarsità – mancanza di ricordi fosse dovuta a due fattori, in parte l’ignoranza che ti faceva dare scarso valore alla memoria, in parte alla voglia di lasciarsi il passato alle spalle, di migliorarsi, di guardare al futuro.
E’ in questo contesto che è nato e cresciuto il mio rapporto con Cotronei. Perché si, è inutile che la fate troppo facile, da un lato io sono napoletanto, di più, Napoli la tengo nel sangue, “mi sono” coltivato la mia lingua nativa molti decenni prima che fosse riconosciuta dall’Unesco, mi sono curato i ricordi, i modi di dire, le espressioni, e ancora oggi anche nelle occasioni più impegnative una parola in napoletano ce la devo mettere per forza; dall’altro il fatto di essere nato a Cotronei non è uno di quei fatti che puoi considerare ininfluenti, almeno per me non lo è stato. Non è questione di anagrafe, di documenti, di stare lì a spiegare che la «R» di Cotronei sta dopo la «T» mentre quella di Crotone sta dopo la «C», che ci voleva pure il cambio di provincia a complicare le cose. E’ questione che il fatto di essere nato in un posto ti lega per sempre a quel posto, almeno per me è stato così, e anche se tu te ne volessi scordare ci pensano le cose della vita a ricordatelo. Come dite? Faccio degli esempi? Come no, posso scegliere fra tanti.
Il tifo calcistico per il Catanzaro quando ero ragazzino insieme a quello per lo squadrone di Serie A, la felicità quando il Catanzaro è salito nella massima serie, le imprese di Palanca.
L’orgoglio quando nel 1980 mi arriva a casa – pochi giorni dopo la mai richiesta – l’estratto di nascita necessario per sposarmi che ancora più della gentilezza e del biglietto di auguri mi aveva colpito l’efficienza del «mio» comune.
La soddisfazione di leggere sull’Unità, un paio di anni dopo, mentre il «mio» PCI, quello di Berlinguer, stava cominciando a cedere pesantemente terreno al PSI di Craxi, che nella «mia» Cotronei avevamo vinto con oltre il 50 percento dei voti. Ricordo che inviai anche un telegramma di felicitazioni al Sindaco di allora.
La gioia che ho provato ogni volta in cui ho potuto dire a un amica o a un amico «sono nato in Calabria, a Cotronei» e la complicità che questa cosa determinava, due esempi per tutti quello di Santina – vecchia amica – e di Rita – amica nuova.
L’iscrizione a un gruppo locale su Facebook, uno dei tantissimi di questo tipo, Sei di Cotronei se, perché volevo cercare una storia di #lavorobenfatto «mio» paese, che mi faceva brutto che tra le tante che avevo raccontato non ce ne fosse una di Cotronei, e infatti l’ho trovata, è quella di Adolfo Grassi, che è solo la prima, e se volete potete leggerla qui. Insomma io, napoletano nel daimon, nell’anima, nella streppegna, Cotronei l’ho tenuta sempre con me, ma «overo», non tanto per dire.
Vengo alla storia recente, che questo post sta diventando un romanzo. Dovete sapere che prima mio fratello Gaetano e poi mia sorella Nunzia avevano avviato un prezioso recupero delle poche e sgangherate foto di famiglia. Va bene, non è stato un processo di digitalizzazione vero e proprio – e quanto siete impicciosi, mamma mia – le avevano fotografate, però questo aveva fatto sì che le potessimo condividere, tenere con noi, farle girare. In particolare Nunzia me ne aveva mandate un bel po’ e tra queste ce n’era una in cui nostra madre giovanissima teneva un bimbo piccolo in braccio su un balconcino.
Ora come vi ho detto in queste materie, cose di famiglia precise precise non ce ne sono, dunque sulla foto niente data, niente luogo, niente. Era evidente che in braccio a mamma potevamo essere o io o mio fratello Antonio, più io che lui, e che era molto probabile che quella fosse Cotronei, ma come è evidente probabile non vuol dire sicuro, potevamo stare anche da qualche altra parte. Così una sera posto la foto che Nunzia mi aveva mandato nel gruppo di Cotronei chiedo se per caso qualcuno riconosce il posto, se insomma la foto è stata scattata a Cotronei, spiegando che sono nato lì eccetera eccetera. Tra i primi a rispondere e a confermarmi il tutto c’è Nicola Fabiano, che non contento della risposta comincia a chiedere in giro e mi scrive che ci sono persone che si ricordano ancora dei nostri genitori, che se vado ci possiamo parlare, che insomma adesso è davvero il tempo che io e Cotronei ci incontriamo.
Nei mesi successivi accadono un sacco di altre belle cose, scopro che il cantante degli Aerosmith ha i nonni di Cotronei, che è stato lì e forse ci ritorna per un concerto, ma questo forse l’avete già letto nel racconto di Adolfo. E poi Nicola mi fa chiamare dal Sindaco di Cotronei a Natale e ci scambiamo gli auguri. E poi un venerdì di un paio di mesi fa lo incontro con Cinzia a Napoli insieme al suo figliolo e finalmente possiamo abbracciarci e stringerci la mano, ma adesso mi fermo qui, tanto in questi giorni avrò modo di ritornarci su. Perché si, ve l’ho detto, io domani vado, se volete venire con me non vi perdete i prossimi racconti.