Quadrare il cerchio | Ralf Dahrendorf
La disuguaglianza sistematica, diversamente dalla diseguaglianza comparativamente accidentale all’interno del medesimo universo di opportunità, è incompatibile con gli assunti civili del primo mondo.
Il compito che incombe sul primo mondo è quello di far quadrare il cerchio tra creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politica.
Nei paesi Ocse benessere economico, sociale e politico sono legati in modo nuovo e inquietante. La ragione è la Globalizzazione.
Il concetto di nazione ha perso buona parte del suo significato economico.
Politica e tecnologia, spinte del mercato e innovazioni organizzative sono tutte cose che cospirano a creare, in aree importanti dell’attività economica, uno spazio completamente nuovo che chiunque, si tratti di aziende o di nazioni, può ignorare solo a proprio rischio e pericolo.
Cosa devono fare aziende, paesi o regioni di ogni parte del mondo se non vogliono condannarsi all’arretratezza ed alla povertà? Occorre Flessibilità.
In assenza di un notevole grado di flessibilità le aziende non possono sopravvivere nel mercato mondiale.
Il termine flessibilità ha finito per indicare soprattutto allentamento dei vincoli che gravano sul mercato del lavoro, ma flessibilità significa anche disponibilità di tutti gli operatori ad accettare i cambiamenti tecnologici e a reagirvi prontamente. In termini di marketing flessibilità è capacità di andare ovunque si offra un’opportunità e di abbandonare ogni posizione in cui le opportunità passate si siano esaurite.
Scegliere tra economia a retribuzione bassa (Stati Uniti, Gran Bretagna) ed economia ad alta specializzazione (Giappone, Germania).
Scegliere tra contenimento della pressione fiscale e contributiva e alti guadagni (economie anglo americane) e una pressione fiscale e contribuita sostenuta abbinata ad una bassa distribuzione dei profitti (Giappone ed Europa continentale).
La strada dei bassi profitti rende più probabili gli investimenti a lungo termine ed assegna un ruolo più importante alle banche rispetto al mercato finanziario.
La globalizzazione minaccia la società civile in tanti modi diversi ma tutti di una certa gravità.
La globalizzazione economica sembra essere associata a nuovi tipi di esclusione sociale.
Le disegueglianze in termine di reddito sono aumentate.
Una sistematica divergenza delle prospettive di vita per ampi strati della popolazione è incompatibile con una società civile.
Sottoproletariato, underclass, emarginati sociali, veri svantaggiati: presunti cittadini che in realtà nel loro ambiente sono dei non cittadini, un vivente atto d’accusa per tutti gli altri.
Povertà e disoccupazione minacciano la stessa struttura portante delle società.
La flessibilità non è solo l’altra faccia della rigidità ma anche il contrario della stabilità e della sicurezza.
Almeno in Europa si avvertono strane somiglianze tra fine ottocento e fine novecento. Adesso come allora la gente si è trovata a vivere un periodo di individualismo rampante: il manchesterismo di allora come il thatcherismo di oggi.
L’effetto forse più grave del trionfo dei valori legati alla flessibilità, all’efficienza, alla produttività, alla competitività e all’utilità è la distruzione dei servizi pubblici. Servizio sanitario pubblico, istruzione pubblica per tutti, salario minimo garantito sono vittime di un economicismo sfrenato.
L’indiividualismo ha trasformato non solo la società civile ma anche i conflitti sociali. Anche quando molte persone soffrono per lo stesso destino, non c’è nessuna spiegazione unificata e unificante alle loro sofferenze, nessun nemico suscettibile di essere combattuto e costretto ad arrendersi.
Le persone realmente svantaggiate non rappresentano una nuova forza produttiva nè una forza con la quale si debbano fare i conti. I ricchi possono diventare più ricchi senza di loro; i governi possono essere rieletti anche senza i loro voti; il prodotto nazionale lordo può continuare ad aumentare.
La sensazione che si va diffondendo è che si stia venendo meno ogni certezza: di qui senso di anomia, tramonto di ogni regola, profonda insicurezza.
La libertà fiorisce in un clima di fiducia. La fusione di competitività globale e di disintegrazione sociale non è una condizione favorevole alla costituzione della libertà. Se la libertà sfocia nell’anomia i cittadini cominciano a dubitare della saggezza dei padri delle loro costituzioni e vanno alla ricerca di un’autorità, di un governo forte, autoritario anche se non necessariamente totalitario.
Sviluppo economico nella libertà politica ma senza coesione sociale; sviluppo economico e coesione sociale privi di libertà politica: è questa l’alternativa che hanno di fronte le società moderne?
I valori asiatici e l’autoritarismo politico che ne discende, sono diventati la nuova tentazione. (fustigazione, commenti in Europa, studenti romani).
Abbandoniamo il modello americano, suggerisce la nouvelle vogue politica, e chiediamo all’asia un nuovo modello in cui il progresso economico possa combinarsi con la stabilità sociale e con i valori della conservazione.
Questo periodo di adattamento alla competitività globale, con i suoi costi economici a carico di molti, con la disintegrazione sociale e con i disagi e le sofferenze che ne derivano, con la sua tipica sfiducia nei partiti e nei leader politici tradizionali, mette alla prova la capacità delle democrazie di promuovere il cambiamento senza violenze e senza violazione dello stato di diritto.
Desideriamo la prosperità per tutti e siamo disposti ad accettare le esigenze poste dalla competitività nei mercati globali.
Aspiriamo a società civili capaci di mantenersi unite e di costituire il solido fondamento di una vita attiva e civile per tutti i cittadini.
Auspichiamo lo stato di diritto e istituzioni politiche che consentano non solo il cambiamento ma anche la critica e l’esplorazione di orizzonti nuovi.
Questi tre desideri non sono automaticamente compatibili.
Sei suggerimenti possibili:
Cambiare il linguaggio dell’economia pubblica. La crescita del prodotto nazionale lordo non può essere un feticcio. Occorre valorizzare il fattore stare bene. Welfare.
La trasformazione in atto della natura del lavoro può funzionare solo se tutti, fin da giovani, hanno fatto esperienza del mercato del lavoro.
Vanno tagliate le radici dalle quali nasce il sottoproletariato, underclass, svantaggiati di domani ( addestramento professionale, servizi sociali, creazione di comunità).
Le pressioni simultanee verso l’individualizzazione e la centralizzazione insite nel processo di globalizzazione vanno contrastate valorizzando il potere locale.
Occorre consapevolezza dei legami esistenti tra l’insieme di coloro che a vario titolo hanno interesse a un’impresa economica (dipendenti, fornitori, clienti, banche, comunità locali = economia degli stakeholder) e volontà di promuovere nel migliore dei modi gli interessi della gente.
I governi hanno speciali responsabilità nella sfera pubblica e innanzitutto ad essi spetta di trovare un nuovo equilibrio tra qualità del servizio, efficienza e profitto.
NON PERDERE MAI DI VISTA LA NATURA VERAMENTE INTERNAZIONALE, ED IN QUESTO SENSO UNIVERSALE, DEL PROGETTO PER IL PROSSIMO DECENNIO.