Elementare Watson!
Niente paura. Non abbiamo deciso di abbandonare la serendipity per passare al giallo. E il Watson della nostra storia non è l’alter ego di Sherlock Holmes reso immortale dalla penna di sir Arthur Conan Doyle.
È James D. Watson. Forse meno noto. Probabilmente più importante. Dato che a lui, e a Francis Crick, si deve la scoperta della struttura del DNA e la soluzione di uno dei più affascinanti misteri della scienza e della vita: in che modo le informazioni ereditarie si conservano e si trasmettono.
Perché ve ne parliamo?
Perché la vita di James D. Watson è, come quella di molti scienziati, assai ricca di avvenimenti serendipitosi, come si può verificare leggendo il suo straordinario libro di memorie (DNA, Il segreto della vita, Adelphi, € 18). Perché più d’uno di tali avvenimenti si interseca con il nostro Paese e con la sua genialità, che è tanta e ci piace ricordarla. E perché almeno uno di essi permette di aggiungere un ulteriore tassello a una storia, quella della fuga e dello spreco dei cervelli italiani, che pensiamo sia utile continuare a raccontare.
L’avvenimento in questione è quello che porta Watson a “scartare” Herman J. Muller, che nel 1946 aveva ricevuto il premio Nobel per i suoi studi sulla capacità mutagena dei raggi X, e a scegliere, per la sua tesi di dottorato, Salvador Luria, nato e cresciuto a Torino, che il premio Nobel lo vincerà “solo” nel 1969 per le scoperte fatte, con Delbrück e Hershey, sui meccanismi di mutazione e riproduzione del DNA. E ci dà l’occasione per ricordare che nel frattempo, proprio nell’anno in cui Watson arriva all’Indiana University, il 1947, Luria diventa cittadino americano.
Rewind: Salvador Luria nasce e si forma a Torino, dove ha come maestro e mentore Giuseppe Levi; si trasferisce negli USA; diventa maestro e mentore degli studenti statunitensi di Bloomington e del MIT.
Una possibile morale della storia: l’Italia investe per formare Luria e gli Stati Uniti raccolgono i frutti di tale investimento.
Elementare Watson.