Frame 7. Dieci anni dopo
7 maggio 1997. La cornice, splendida, è quella di Palazzo Serra di Cassano, simbolo della rivoluzione napoletana del 1799 e sede del-l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. L’occasione, la presentazione di Dell’Incertezza. Tre meditazioni filosofiche, al tempo l’ultima fatica del filosofo Salvatore Veca .
Chi scrive ha il compito di introdurre, in quella sala grande e colma di pubblico, il dibattito, al quale partecipano, con l’Autore, Riccardo Dalisi, Sebastiano Maffettone, Corrado Ocone. L’emozio-ne è tanta. Il tentativo, quello di scrutare i segni del tempo, di interpretare il cambiamento in uno scorcio di millennio vissuto con la storia alle calcagna. Pensieri e parole indugiano sul carattere rapido, impetuoso, del mutamento tecnologico, sugli effetti che esso produce a livello sociale, sulla necessità di ridefinire, ogni qualvolta ciò accade, il nostro armamentario di credenze, di modi di vedere e di interpretare il mondo.
L’aumento dell’incertezza da una parte. Il valore delle connessioni dall’altra. Nel mezzo noi, dediti a condividere il disagio sociale che l’incertezza produce, a limitarne per questa via la portata, a definire identità, a scoprire ragioni, motivazioni, sentimenti che possano indurci a considerare le nostre vite più degne di essere vissute.
Dieci anni dopo, il mondo là fuori cambia sempre più incessantemente, il rumore di fondo si fa semplicemente più assordante, le domande continuano a vivere, a moltiplicarsi, come definitivamente affrancate dalla necessità di trovare risposta.
Da una parte, le più ampie possibilità di accesso alle informazioni, ai saperi, alla conoscenza determinano opportunità prima inimmaginabili; conoscenza e socialità appaiono concetti correlati più che in ogni altra fase della storia dell’umanità; le connessioni conquistano un rilievo sempre maggiore nel lessico e nella teoria filosofica, sociologica, delle organizzazioni; saperi e saper fare si riferiscono meno alla sfera fisica e più a quella immateriale; l’apprendimento diventa un processo che privilegia la connessione di nodi specialistici e di fonti di informazione.
Dall’altra, la società della conoscenza appare insicura, liquida, sotto assedio ; le strutture «tradizionali» tendono a perdere consistenza, il capitale sociale si impoverisce, le persone sono meno interessate a partecipare all’azione politica collettiva ; il potere si presenta come comando senza autorità ; non c’è ordine di priorità nel-l’accesso alla notizia, cosicché alla proliferazione dell’informazione corrisponde la scarsità della conoscenza ; è più difficile stabilire rapporti umani stabili ed obiettivi di lungo termine ; nei conflitti la posta in gioco diventa la defezione più che l’inclusione o l’accesso ; la retorica edeologica enfatizza la quantità di gigabyte, di telefonini, di blog, di ore di connessione a disposizione di ciascuno piuttosto che l’uso che effettivamente se ne fa; ogni cosa sembra sciogliersi nell’aria.
Nel mezzo noi. Qui. Ora. Costretti a fare i conti con i cambiamenti che le nuove tecnologie hanno prodotto nei nostri modi di vivere, di lavorare, di divertirci. Impegnati a ridefinire le nostre identità. A dare un senso alle nostre vite.
È mentre tutto questo accade che proveremo a ragionare di e-learn-ing e di Università telematiche. Di una storia ricca, sì, di potenzialità, di sperimentazioni, di buone pratiche, ma anche di fallimenti ; nella quale, come abbiamo visto nel corso del primo capitolo, il sistema universitario italiano nel suo complesso non solo non brilla per creatività e originalità, ma appare come una realtà estremamente frastagliata dove coesistono, a livello non solo di singoli Atenei ma anche di Facoltà, di Dipartimento, di Corso di Laurea, approcci significativamente diversi sia dal punto di vista delle metodologie che da quello delle tecnologie e dei contenuti.