Gente di Secondigliano | Antonio Gravina
A sentirlo sembra un personaggio da “La leggenda degli uomini straordinari”. E in fondo anche a conoscerlo con quel look modello Steve Jobs e gli occhi profondi non lo vedresti male a fianco di Sean Connery. È un imprenditore ma non ti dice di capitale. Piuttosto dell’importanza di avere ogni tanto la testa sgombra, di riprendersi un pò del proprio tempo, di leggere per ritrovare i propri pensieri. È un imprenditore ma non ti dice di profitto. Piuttosto delle idee che lo ispirano e gli danno l’energia positiva per fare quello che vuole fare nella maniera più straordinaria possibile. Sulle tracce dei migliori. Qualunque cosa facciano. In qualunque parte del mondo lo facciano. È un imprenditore. Alle prese ogni giorno con faccende di capitali e profitti.
Antonio Gravina è fatto così. Nessuna via di mezzo. L’eccellenza per scelta. La curiosità per destino. Bracciata controcorrente. Come quando lascia la scuola contro il volere dei genitori. Sentivo di poter fare qualcosa di meglio lavorando – racconta -, anche perché, stupidamente, avevo scelto un istituto per geometra che non mi stimolava abbastanza. So che non sta a me dirlo, ma ero bravo, mi piaceva studiare, apprendevo facilmente, e quel tipo di scuola mi annoiava.
Visto da un certo punto di vista, diresti ancora oggi che nel cambio ci ha perso. Comincia vendendo biancheria. Calzini. Libri. Abbigliamento again. Il servizio militare. Poi l’approdo nel suo attuale universo.
Ho cominciato in uno scantinato come Steve Jobs – mi dice mentre sto lì a congratularmi con il mio quinto senso e mezzo -, ci sono dieci anni di lavoro prima di arrivare a Bespoke.
La stessa filosofia nel lavoro e nella vita: conoscere le cose direttamente, da vicino; confrontarsi con persone ed esperienze di ogni parte del mondo; non fermarsi ai “si dice”; cercare sempre un punto di vista originale.
Mi dice che il mondo trabocca di persone interessate, superficiali o anche solo distratte che mentre cercano di imitarti ti spiegano che quello che vuoi fare tu loro già lo fanno o lo hanno fatto meglio di come lo potresti fare tu senza essere riusciti a cavare un ragno dal buco.
Il ritornello è sempre lo stesso, non si può fare. La mia esperienza, le mie letture, i miei viaggi dimostrano che invece si può. Si può cosa – gli faccio -. Si possono fare cose belle che ti fanno stare bene in maniera semplice – risponde-.
Londra è la capitale della moda, anche nel nostro settore, da molti decenni, e quando ci sono stato la prima volta ho visto parrucchieri fare cose che noi italiani neanche immaginavamo. Lamentandocene.
Adesso ti metti a citare anche Blade Runner – gli faccio -. Lasciami finire – mi fa -.
La prima, semplice, domanda che mi sono fatto è stata: perché parrucchieri che vanno a Londra da molti anni prima di me, e hanno visto quello che ho visto io, non hanno trasferito in Italia quel modello vincente, smettendo di lamentarsi, facendo qualcosa di innovativo, conqistando maggiori opportunità, soddisfazioni guadagni? Lo so che tu stai pensando che la stessa cosa vale per la ricerca, l’impresa, la politica, ecc., ma io preferisco rimanere sul punto.
Un punto che tu chiami isomorfismo, io benchmarking e che in estrema sintesi si può ridurre al rifiuto dell’idea che da noi non si può fare.
Va bene, è difficile, ci si mette lo Stato, la burocrazia, le tasse, la cultura, i concorrenti, i mille altri piccoli grandi impedimenti, ma si può fare.
Si può fare a patto di smontare tutto il sistema di credenze preesistenti, di rinunciare alle nostre piccole certezze, di ribaltare l’approccio che abbiamo ereditato da persone valide ma cresciute in anni in cui invece di sognare ci si arrangiava. Io non mi accontento di sembrare un vip con una bella automobile, delle belle vacanze, una o più belle case di proprietà. Io sono un imprenditore. Dunque un innovatore. E il cambiamento non lo aspetto. Lo realizzo ogni giorno.
Questo è quanto, più o meno, mi ha detto Antonio un paio di settmane fa. Quello che gli ho detto io glielo ho detto ieri sera. A voi ve lo racconto domani. Magari dopo che mi avete detto quello che gli avreste detto voi.