Il leader è nudo?
Alcune riflessioni bollenti dopo una notte angosciante – esaltante nel corso di un mattino non ancora sereno in un paese sulla lama di un coltello.
1. Se anche in Senato l’Unione ha potuto conquistare, seppure per un soffio, la maggioranza, lo si deve non solo al voto degli italiani all’estero, ma anche al voto degli elettori del Sud.
Diversamente da quello del Centro, dove decenni di buon governo rappresentano, tra alti e bassi, un dato consolidato di riferimento, nel Sud si tratta di un esito niente affatto scontato, perché se è vero che Berlusconi si è particolarmente distinto per la propria incapacità (non volontà) di affrontare seriamente almeno alcuni dei problemi più importanti di questa parte del Paese, è altrettanto vero che da molto tempo la questione meridionale non c’è più. Dissolta più che risolta. Colpevolmente lasciata cadere piuttosto che abbandonata.
Le ragioni? Tante e naturalmente non tutte fuori dal Sud.
Ad esempio la classe dirigente meridionale non si pensa abbastanza in quanto tale e non dimostra una sufficiente capacità di innovazione sul terreno delle cose da fare e delle modalità con le quali farle, come vedremo anche più avanti; le donne e gli uomini del Sud fanno fatica ad assumere fino in fondo i doveri e i diritti della cittadinanza, finiscono troppo spesso col delegare, si comportano troppo spesso come sudditi invece che come cittadini.
Ciò detto, resta il fatto che le responsabilità delle classi dirigenti nazionali sono grandi.
Riuscirà il governo Prodi a ridare una dimensione politica alla questione meridionale e dunque a ridare un’identità al nostro Paese? Sta qui a nostro avviso uno snodo importante per il nostro futuro. Sicuramente più di un ulteriore dibattito su come si dovrà chiamare il nuovo contenitore partito del centro sinistra.
Da queste parti, continuiamo a ritenere che la Cosa sia più importante del Nome della Cosa. Che i contenuti siano più importanti dei contenitori. Che i programmi di governo e la coerenza con la quale si portano avanti siano, per tutti, il vero banco di prova.
2. Abruzzo 53.2; Basilicata 60.4; Calabria 56.8; Campania 49.6; Molise 50.5; Puglia 47.9; Sardegna 50.9; Sicilia 40.5: sono i dati relativi alle percentuali conseguite dall’Unione nelle regioni meridionali.
Spicca, in negativo, il dato della Campania, terz’ultima. (per ragioni diverse, i dati della Puglia e della Sicilia erano in fondo prevedibili: la particolare forza del blocco moderato e le note commistioni in Sicilia, il valore aggiunto portato da Vendola e l’alto tasso di astensionismo nelle recenti elezioni regionali in Puglia, ecc).
In Campania, neanche un anno dopo le elezioni regionali, va male nonostante Bassolino, De Mita, Mancino, ecc. Ci sarà un giudizio degli elettori sulla capacità e sulle modalità di governo a livello regionale? Sui criteri di formazione delle liste? Sui livelli di civiltà e di sicurezza delle nostre vite e delle nostre città? Ci sarà qualche riflessione da fare anche in riferimento alle prossime elezioni al comune di Napoli?
3. Abruzzo 18,4; Basilicata 19,9; Calabria 14,4; Campania 14,1; Puglia 15,6; Sardegna 17,2; Sicilia 11,4: questi sono invece i risultati conseguiti dai DS nel Sud (in Molise è stata presentata la lista dell’Ulivo anche alla Camera).
Qui l’urgenza di affrontare la questione Campania, dopo 15 anni di governo, appare ancora più evidente. Per quanto ci riguarda continuiamo a ritenere che molte mani e molte teste siano meglio di una. Che occorre privilegiare le capacità e le competenze piuttosto che le appartenenze. Che una classe dirigente sia meglio di un leader, per quanto autorevole possa essere.
Si può avviare finalmente una riflessione seria intorno a questo punto?