“Denunciare un sopruso non significa fare la spia ma tutelare i diritti dei più deboli; l’omertà è un disvalore senza se e senza ma: è cominciato da qui il percorso che ci ha portato a bandire nel regolamento di istituto l’omertà come disvalore. Rendere partecipi i ragazzi non è stato facile. Alla loro i legami che li portano a fare “fronte comune” rispetto all’autorità (dei genitori, degli insegnati, del preside) sono forti, ma alla fine ha funzionato”.
Dario Missaglia, 57 anni, è Preside (anche se oggi si chiamano dirigenti scolastici) del liceo statale “Mazzatinti” di Gubbio e responsabile della sezione Education della Fondazione Giuseppe Di Vittorio.
Lo abbiamo incontrato per parlare con lui del convegno “Le regole sul banco” che proprio la Fondazione Di Vittorio, insieme al Coordinamento Genitori Democratici, all’Associazione Proteo Fare Sapere e alla CGIL (Dipartimento Formazione e Ricerca, Ufficio Politiche per la Disabilità, Federazione Lavoratori della Conoscenza), ha promosso per martedì 13 marzo 2007 a Roma (CGIL, sala F. Santi, ore 10.00, Corso d’Italia 25, con la partecipazione tra gli altri di Fulvio Fammoni, Segretario Confederale CGIL e di Giuseppe Fioroni, Ministro della Pubblica Istruzione).
Per cominciare chiediamo a Missaglia di sintetizzarci gli obiettivi dell’iniziativa.
Direi che l’obiettivo fondamentale è quello di contribuire a ricostruire il quadro delle responsabilità di tutti i soggetti adulti. È importante che a partire da ciò che ci è più vicino, dai gravi fatti di cronaca di questo periodo, si allarghi la prospettiva, si cerchino le ragioni più profonde, si definiscano politiche efficaci di prevenzione e di contrasto di quello che ormai viene comunemente definito “fenomeno bullismo”.
Occorre evitare il rischio che la forte attenzione mediatica e la rappresentazione che ad essa consegue diventi l’unica lettura di fenomeni che invece sono legati ai processi di cambiamento profondi che attraversano la società”.
La colpa è come sempre dei giornali?
Per carità, sarebbe un’enorme stupidaggine anche il solo pensarlo.
Il fatto è che la crisi dei modelli educativi in atto non può essere letta o confinata nell’ambito della cronaca. Sarebbe come pensare che siamo di fronte a una “generazione di ragazzi perduti”, a una nuova “gioventù bruciata”, a un “gruppo di insegnanti esauriti in un edificio scolastico”. E’ poco realistico, non trovi?
In realtà, diversamente da altre fasi della nostra storia, l’educazione oggi non è più patrimonio esclusivo di nessuno, né della famiglia né della scuola e occorre perciò che tutti i soggetti (famiglia, associazioni, istituzioni, scuola, ecc.) facciano fronte comune.
La scuola in questo quadro può essere il luogo dove le diverse responsabilità degli adulti dialogano e si incontrano.
Questa tua insistenza sulla responsabilità dei soggetti adulti non temi possa rappresentare un alibi per i ragazzi?
La mia esperienza mi dice che i giovani oggi non riconoscono più l’autorità in base al ruolo e alla tradizione.
Essere genitore, insegnante, preside non basta più e perciò le regole non possono più essere semplicemente trasmesse ma vanno costruite insieme a loro in modo tale che la loro responsabilità sia parte di quelle regole che loro stessi concorrono a definire.
Possiamo dire che in questo senso c’è una spostamento dall’autorità all’autorevolezza? |