Uno, doje, tre e quattro e Cinzia Massa
Ho letto il libro, l’ho assaporato nelle sue innumerevoli sfaccettature, ne ho seguito i racconti e di volta in volta mi sono sentita Carmela, Daniele, Viviana, Vincenzo.
Sì perché attraverso la lettura di Uno, doje, tre e quattro, ti senti catapultata in un salotto , comodamente seduta tra 4 amici. E li ascolti, e rifletti, mentre i discorsi ti conducono su temi diversi. Come l’amicizia, quella reale e quella virtuale, quella in cui ci si vede e ci si tocca, e quella che attraverso il taggarsi ti regala emozioni, conoscenza, ti solleva e ti consola. Come i ricordi, quelli che ci segnano, quelli che non si staccano, quelli dolorosi ma anche ricchi di gioia, cibo, profumi e gite in compagnia. E mentre ci si perde tra i giochi con le parole, la lettura ti conduce alla regole, all’ordine e al disordine delle nostre città, della nostra Italia. Si parla di nord e sud e ti accorgi che il cambiar una vocale al passo manzoniano “quel ramo del lago di Como” diviene “quel ramo del lago di Cuma” l’unica differenza resta il pensarsi diversi e lasciare che così vadano le cose. Si poteva non parlare di lavoro? No. Ecco il lavoro con la L maiuscola, quello di uomini che fanno “le cose per bene perché è così che si fa”, e si parla di merito e di talento, della ricerca che in Italia non c’è e dei giovani che vanno via. E poi ancora sono le radici a farci sentire parte di un pezzo della vita degli autori, quelle radici che ci ancorano alla terra, alla famiglia, agli amori e alla storia.
E mentre le parole scorrono, ti senti scardinare i pensieri, fuoriescono suggestioni, pulsioni e, perché non dirlo, a volte anche una lacrima, di commozione, di riso, perché Uno, doje, tre e quattro è l’anima di ciascuno di noi, che ride e piange, scalpita, si arrabbia e poi si placa, in una parola vive.