Una vita da operaio. Da operaia. Naturalmente su Timu
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La fabbrica è la vita
di Giuseppe Argentini
La fabbrica = la vita. La vita = la fabbrica.
Un paese in Abruzzo (la fabbrica) di circa tremila persone, su un cucuzzolo, attorno altri cucuzzoli con altri paesi simili.
Campagna, fossati, sali e scendi tutt’intorno, neve e freddo d ‘inverno caldo d’estate, abitazione, non di proprietà, come il resto, orto, animali ecc. Si dorme in uno scantinato, lenzuola umide.
Licenza di scuola media inferiore, meno male, almeno quello, anche se poco mi è servito, non per quello che ho imparato ma per il titolo. Dopo la scuola, in una bottega di falegname, imparo subito ad usare le macchine e vari attrezzi.
Di giorno si usano le macchine e al mattina presto si assemblano i pezzi, il padroncino, benevolmente per riconoscenza, lascia le sigarette nel cassetto del bancone e al mattino una pizza, dal vicino forno, con zibibbo, qualche volta al cinema, mi sentivo un pò grande, anche questo mi servirà.
Arrivo a Roma, a 19 anni, in una bottega di falegnameria, si dorme si mangia ci si lava a bottega, pochi soldi, appena basta per sfamarsi con pane e qualcos’altro.
Ero un emigrante in piena regola, mi sentivo a casa d’altri, paura di andare fuori zona, se ci andavo usavo il filo di arianna, mentalmente. Guardavo gli altri, tanta gente, ma ero solo.
Cambio lavoro. In un sottoscala vicino a Roma, grande città, poi alla periferia fuori Roma, sempre lo stesso, dormo nella fabbrichetta, grazie al padrone che in cambio mi insegna a controllare i forni elettrici per la cottura di ceramiche, spegnere il forno a temperatura giusta, non addormentarsi perché se passa di cottura si butta tutto, imparo presto per necessità, a volte mi sembra di essere necessario e avanzo qualche pretesa, qualche soldo rimane, c’è anche per il cinema, non voglio tornare al paese.
Si mangia un pò meglio, si compra una pagnotta che si riempie di pomodoro e carne in scatola, va bene per colazione pranzo e cena, la pancia si riempie, si compra qualche maglione desiderato.
Niente busta paga, niente contributi. Mai nessuno si interessa a te. Menomale. Altrimenti chissà.
Poi all’improvviso c’è un motivo per continuare, una ragazza, i problemi come la novità aumentano con passi da gigante, ha idee di sinistra, idee proprie, di un principio che non capivo, non pensavo che c’erano idee e convinzioni così diverse da quello che mi avevano insegnato a casa, a scuola di cui non si parlava mai.
Ma mi piacevano, piano piano le facevo anche mie. Ho dovuto cambiare tutto un modo di pensare. Non sapevo che dire, che fare, come comportarmi.
La prima tessera della CGIL anni 1958/59, il giornale l’Unità. Iniziavo a vedere, mentre guardavo le cose. Poi il militare, dove finalmente si mangia, la colazione, la cena. La pasta asciutta, la carne tutti i giorni, con il soldo e qualche cento lire da casa, si dorme su un letto asciutto, mi sento meglio, anche perché c’è qualcuno che mi scrive spesso e mi aspetta.
Non so come sarà il ritorno a casa. Dopo il militare con l’esperienza nei forni, trovo un lavoro in una nuova fabbrica, si fanno i turni così si guadagna di indennità, menomale c’è un vero lavoro, circa 30.000 lire al mese, ci siamo sposati, 15.000 lire di affitto. Finalmente una casa vera. Dopo un pò, ritardi nella retribuzione con continui richieste di arretrati, il padroncino a volte mi dava qualche spicciolo, diceva che se lo toglieva dalla tasca propria per darli a me, niente contributi per la pensione, dieci anni persi.
Arrivano i figli. Serve qualcosa di meglio, più soldi, specialmente con puntualità. Altrimenti sono problemi. Non si riesce a fare debiti, come tanti, si compra con quello che si ha con preoccupazione. Si parla di chiusura. Prima che la fabbrica chiude trovo un altro lavoro, un’altra fabbrica, ci vuole il patentino, ci provo faccio tirocinio, ci riesco, sono un operaio qualificato. Dopo qualche anno chiude anche questa.
Un’altra fabbrica nuova, lo stesso lavoro, l’impegno sul lavoro mi evita problemi e c’è qualche compenso in più. Ma sempre presente anche nei festivi. Dopo qualche anno le cose non vanno bene, si prospetta la chiusura. Ancora la ricerca del lavoro.
Finalmente una fabbrica medio grande, solida, farmaceutica, ancora con i turni continui, serve costanza e sacrifici per migliorare nel lavoro e ottenere qualche extra, i figli sono tre. Cercare di aumentare di livello, servono più soldi, assumersi qualche responsabilità.
Acquisto esperienza, il lavoro è impegnativo, aggiornarsi di continuo per lavorare in sicurezza, evitare incidenti. Serve continuo impegno. Bisogna muoversi con cautela, visto anche la militanza politca/sindacale, anni 1974/75. In alcuni casi c’è stato discriminazione, ripicche. Ma è necessario partecipare.
Il caporeparto, in più occasioni, quando trovava un nuovo elemento disponibile, ha provato a sostituirmi, ma un’esperienza non si improvvisa. Allora rinunciava. Mi doveva accettare, e questo per 20 anni, mi rimproverava la militanza, i consigli ai nuovi assunti, a volte la protezione.
Le assemblee, gli scioperi, i rinnovi contrattuali, le discussioni infinite erano costruttive, si doveva trovare un accordo, una soluzione, sempre attenti ai cambiamenti, pronti a recepirli.
C’è stato un cambiamento con l’automatismo dell’impianto, il computer che gestisce, ti evita i turni ma ti chiama in caso di allarme, a tutte le ore, interrompi il pranzo di compleanno del figlio, era difficile da accettare dopo 30 anni di gestione manuale.
Anno 1990. All’idea ero contrario, poi ho accettato per sfida, qualche collega ha avuto qualche problema. Momenti di sconforto, famigliari preoccupati.
Visto le conoscenze acquisite, i progettisti mi hanno chiesto di scrivere tutte le procedure che conoscevo: di avviamento, di spegnimento, di controllo, di inserire e disinserire una macchina, di tutte le anomalie che conoscevo, è stato accettato anzi ho esagerato in sicurezza e controllo dei punti di riferimento, pensando al futuro. Abbiamo inserito nuovi elementi. Cosa importante è stato l’approccio col computer. Però altri ottenevano promozioni mentre io rimanevo al mio posto forse per le idee politiche e sindacali.
La fabbrica è la vita intera. Te ne accorgi dopo, quando all’improvviso si parla di mobilità, cassa integrazione, prepensionamento. Non sai cosa pensare. Sei nella lista? Che farai? Nel mio caso mancava qualche anno alla pensione, nel lavoro di controllo impianto ero rimasto da solo con il computer, in alcune manovre manuali mi accorgevo che facevo fatica, allora ho chiesto aiuto anche in previsione di preparare un sostituto.
Le promesse c’erano ma dalle risposte tipo “abbiamo i diplomati che hanno studiato perciò sono in grado di sostituirti” capivo che non c’era volontà di preparare i futuri gestori impianti adeguatamente. Ero preoccupato per la sicurezza e visto che in 40 anni di lavoro su impianti ritenuti pericolosi, generatori di vapore, non avevo avuto nessun incidente, perché aspettare?
Ho chiesto l’inserimento alla seconda lista di mobilità, dopo un mese ero fuori dalla fabbrica.
Una nota sconfortante, avevo due scatoloni di appunti, accumulati durante le varie modifiche all’impianto, su come gestire l’impianto, varie soluzioni ecc., nessuno lo ha voluto, ho buttato tutto.
In fabbrica il mondo è migliore che fuori, con le amicizie, la collaborazione, le occasioni che aiutano anche all’esterno, sei in contatto con il mondo intero. Fuori la fabbrica c’è meno opportunità, non sai dove cercare.
Avevo deciso che andando in pensione non avrei fatto altri lavori, anche per la poca prospettiva dei giovani.
L’improvvisa uscita dalla fabbrica crea qualche problema, esci al mattino alla stessa ora con la scusa di comprare il giornale, ogni giorno non sai cosa sta succedendo, sei amareggiato. Visto che avevo un anno di mobilità mi sono offerto, al Comune dove risiedo, hanno accettato, ho fatto un pò di lavoro socialmente utile.
Comunque non andava bene, visita dal medico, con diagnosi malattia del pensionato, la soluzione era di trovarsi qualche lavoretto che ti impegna, ma avevo deciso di no, visto che già mi pagavano con la pensione. Gioco col computer ma non basta.
Ti ritrovi i vicini di casa quasi sconosciuti, amicizie sono rimaste in fabbrica, col tempo si dimentica.
Fuori la fabbrica non ho trovato nulla, non si sa a chi rivolgersi, bisogna ricominciare come il primo giorno in fabbrica. Ho cambiato di nuovo fabbrica, ma questa volta anche un nuovo lavoro che non conosco.
Ho pensato che dovevo imparare a fare il pensionato, come potevo rendermi utile. Ho iniziato con il volontariato, e venuto l’Euro bisognava informarsi, informare, portare l’Euro nelle scuole, nei centri anziani.
Ho visto che i bimbi non giocano con giochi manuali, tutto elettronico, mi sono ricordato di alcuni giochi antichi, rompicapi ecc. e con questi ho frequentato le scuole.
I bimbi li hanno apprezzato, anche gli adulti.
Ora ricopio qualche gioco, trovo la soluzione e poi li regalo. Ho imparato a fare il fannullone e lo faccio bene. Ma non so se mi piace e non posso fare altro.