Questo lo ha scritto Maria Paraggio
Mi sono avvicinata a questo libro con molta curiosità. Già il titolo mi spingeva ad approfondire quale poteva essere l’elemento che avvicinava Secondigliano a Tokio. Pertanto, non appena avuto il libro nelle mani, svolte tutte le faccende e gli obblighi casalinghi, mi sono seduta comodamente in poltrona, decisa a fare quello stesso viaggio attraverso le parole degli autori.
E’ stata una lettura continua, sospesa solo per brevi pause e interrotta solo all’ultima pagina. La scelta di raccontare i fatti sotto forma di diario e secondo gli occhi di due diverse personalità, dico personalità non persone, che raccontano gli stessi eventi ma con prospettive diverse , a mio parere, è risultata vincente. Non ci si annoia mai, neanche quando dalle storie di tutti i giorni di persone semplici che nulla hanno a che fare con la scienza, si passa a testi che sembrano tratti da vere e proprie riviste per soli addetti. Ciò che maggiormente risalta è il desiderio di apprendere sempre di più, di condividere esperienze senza chiusura alcuna perché la scienza è patrimonio di tutti.
Non è estranea alle pagine l’amara riflessione che in Italia, purtroppo, non c’è molto spazio per bravi ricercatori né c’è l’interesse, di chi dovrebbe promuoverla, a studiare i successi dell’organizzazione della ricerca scientifica in altri paesi. Il tutto detto sempre senza asprezza, solo con un po’ di rammarico.
Bello è anche l’appellarsi, di tanto in tanto, alla saggezza insita nei vecchi proverbi e l’accorato ricordo del genitore che con la sua severità e il suo rigore morale ha trasmesso nell’autore valori e rispetto delle regole, che non sono poi così distanti da quelli giapponesi. Inoltre il viaggio si rivela anche un’occasione per mettere in luce che i figli imparano dai genitori ma anche questi ultimi hanno molto da apprendere da loro. E’ un continuo dare ed avere vicendevole.