Partecipare è giusto
Sulle strade della democrazia le scorciatoie davvero non esistono, in particolar modo quando le aspettative di futuro sembrano restringersi piuttosto che ampliarsi. Sta di fatto che mai come in questa fase l’esercizio della cittadinanza richiede responsabilità, impegno, continuità, coerenza, rispetto per le regole. Al tempo della modernità liquida non basta essere cittadini in sé, ma bisogna essere, sentirsi, diventare, cittadini per sé, possedere cioè una concezione e una consapevolezza alta dei diritti e dei doveri della cittadinanza. Proprio così. Se, come sostiene Bauman, “un punto possibile di approdo può essere quello di tornare a dare valore all’agorà greca, arrestando la sua privatizzazione e spoliticizzazione e riprendendo il discorso sul bene comune”, un primo passo nella direzione giusta è quello che, con il sostegno delle nostre parole e delle nostre azioni, ci consente un esercizio di responsabilità. E ciò suggerisce probabilmente qualcosa di importante circa la necessità di rendere ragionevole, percorribile, interessante, motivante, conveniente, la scelta di partecipare.
Fare le cose per bene perché è così che si fa; non tirarsi indietro; rinunciare ad ogni alibi o giustificazione di carattere culturale, economico, sociale; rispettare sempre e comunque, a prescindere, le regole: non è più solo una questione di sensibilità, di solidarietà, di civiltà, è una questione di razionalità, di convenienza, di interesse.
L’interesse del fornaio di Smith, che ci permette di trovare il pane caldo ogni mattina.
L’interesse dell’Ulisse Shakespeariano consapevole che “nessuno è padrone di nessuna cosa, per quanta consistenza sia in lui o per mezzo di lui, finché delle sue doti non faccia partecipi gli altri, né può da sé farsene alcuna idea, finché non le veda riflesse nell’applauso che le propaga”. L’interesse di chi non intende fare a meno dello streben, l’agire e tendere alla meta, che consente a Faust di salvarsi. L’interesse a ripristinare il dialogo, nel senso che abbiamo ereditto da Hans George Gadamer, per il quale “dialogare significa varcare una distanza, riconoscere l’altro nella sua irriducibile alterità per incontrarlo e comprenderlo”. L’interesse a farlo qui, nella ricca fetta di mondo nella quale viviamo. Ora, mentre fuori dalle nostre finestre le cose del mondo ci appaiono sempre più interdipendenti e globali.