Little big man
E’ accaduto ieri mattina. A Bacoli. Eravamo lì in attesa di incontrare Anna e Francesco. Cinzia saluta un suo amico. Me lo presenta. Mi colpisce il gesto dell’uomo che si passa il martello nella mano sinistra e strofina forte la destra sui pantaloni da lavoro, prima di porgermela e stringere forte la mia. E’ un gesto che ho visto fare molte volte a mio padre. Per lui era un segno di rispetto. Di sé e degli altri. Sorrido. Sono i miei signa prognostica. Quel qualcosa nell’aria che ti dice che non finisce lì.
Cinzia chiede all’amico come sta il figlio. Sta così:
“Adesso sta bene. Dobbiamo aspettare. Sperare che non ci sia una recidiva. Sta nelle mani di Nostro Signore”. Gli occhi gli si sono fatti rossi. E lucenti. Le lacrime no, quelle riesce a trattenerle.
“Comunque ha finito il ciclo di chemioterapia e anche quello di radioterapia. Siamo stati fortunati, nelle sue condizioni e con le difese immunitarie così basse basta un niente e devi interrompere le cure, invece lui è riuscito a fare tutto proprio come si doveva fare”.
Cinzia prova a dirgli che sono una famiglia straordinaria, che stanno avendo un coraggio straordinario, che il fatto che la stanno affrontando tutti assieme è molto importante.
“Cinzia, noi il coraggio dobbiamo averlo per forza, è lui che a 17 anni è un ragazzo straordinario. Tutto è cominciato un anno fa, e appena si è capito di cosa si trattava ha detto che voleva sapere tutto, che non dovevamo nascondergli niente. Cinzia lo dovevi vedere quando siamo andati al policlinico a parlare con il professore che lo avrebbe preso in cura. E’ venuta fuori un’assistente che ci ha chiesto se dovevano parlare prima con lui o prima con la famiglia e lui ha detto ‘no, parliamo tutti assieme’.
Siamo entrati, il professore ci ha spiegato la situazione, le difficoltà, i problemi, i pericoli, e quando ha finito lui ha detto ‘professore, che problema c’è, ci sono tante persone malate, capita a tanti poteva capitare pure a me, l’affronteremo, e magari ce la faremo’.
Cinzia, te lo giuro, quelli hanno a che fare tutti i giorni con malattie così, eppure per un minuto e mezzo nessuno ha avuto la forza di dire una parola. Sì, è il ragazzo che è straordinario, incoraggia la sorella che già tante volte ha sognato di perderlo, incoraggia la fidanzatina che per fortuna è una ragazzina a modo e gli sta tanto vicino, fa un sacco di progetti per il futuro. Ha detto che se ne vuole andare in Australia, a Perth, che diventa prima ingegnere in Italia perché lì gli studi costano troppo, e poi se ne va a lavorare per nove mesi là, anche nei campi, così matura il diritto a rimanere e cerca di costruire il suo futuro da ingegnere.
Mi devi credere, Cinzia, non so cosa darei per entrare per un minuto nella testa di questo ragazzo, per capire cosa pensa veramente, per potergli stare più vicino, ma no posso, nessuno di noi può, solo lui”.
Ho pianto. L’ho fatto con discrezione, mi sono girato, mi sono allontanato, ma non ho cercato di trattenermi. Certo che c’entra il mio carattere. C’entrano anche le mie ferite. Ma le mie erano soprattutto lacrime di affetto per questo piccolo grande uomo che neanche conosco e già mi ha raccontato, insegnato, ricordato, un sacco di cose.
E’ il momento dei saluti.
L’uomo pulisce ancora la mano destra sui pantaloni. Gliela stringo forte. Gli dico “sono onorato di averla conosciuta”. Mi risponde, con gli occhi rossi rossi rossi, “sono io che ringrazio voi per avermi ascoltato”.
Si vede che mi sto facendo vecchio. Mentre andiamo piango ancora. Mi fermo qualche passo più avanti. Cinzia attende con occhi affettuosi che mi passi. Sul marciapiede di fronte Anna e Francesco ci aspettano.