Postfordismo
FORD – JUST IN TIME – MODELLO GIAPPONESE – PIORE SABEL E ZEITLIN – TAYLOR
Concetti e parole chiave
Fabbrica snella – Integrazione orizzontale – Qualità totale – Sviluppo delle competenze
Spiegazione
Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli 80 i paesi tecnologicamente più sviluppati sono interessati da un insieme di trasformazioni economiche, istituzionali, sociali, tanto profondo da determinare un vero e proprio passaggio di fase. Dopo lunghi decenni di dominio incontrastato, il modello sociale e produttivo fordista, quello specifico modo di produrre e di regolare la società che tanto peso aveva avuto nelle vicende economiche e istituzionali dei paesi più sviluppati, va in crisi. È una crisi che investe più cose e ambiti, anche molto diversi tra loro per rilevanza, che produce nei diversi paesi esiti anche molto diversi a seconda del ruolo che ciascuno di essi riveste nell’ambito della divisione internazionale del lavoro, degli attori istituzionali coinvolti nel processo regolativi, dei sistemi di welfare vigenti, del ruolo e del peso del sindacato.
Vanno in crisi le strutture organizzate secondo criteri gerarchici (to make) e integrate per via verticale. È pesantemente messo in discussione il modello concertativo di distribuzione della ricchezza definito tra le grandi rappresentanze imprenditoriali e sindacali con la supervisione degli stati nazionali. Vanno in crisi gli stati nazione, si modificano i rapporti di forza tra politica – nazione ed economia mondo, si affermano poteri di livello sovranazionale, si assiste a una sensibile contrazione dell’intervento dello stato nell’economia (in particolare nel settore industriale, come attesta il diffuso processo di privatizzazione avvenuto nelle economie di mercato sviluppate). Mutano le forme e la regolamentazione del lavoro, della sua organizzazione e rappresentanza, c’è un oggettivo ridimensionamento del ruolo contrattuale del sindacato, una crisi della contrattazione collettiva associata a una contemporanea crescita di forme di individualismo contrattuale (in particolare dal versante retributivo). Il posto di lavoro fisso per tutto l’arco della vita diventa sempre più un retaggio del passato, mentre i processi di flessibilità si accentuano sempre di più fino ad assumere sempre più i caratteri della precarietà e dell’insicurezza.
Il cambiamento insomma non si ferma alla fabbrica ma investe il territorio, la società, i rapporti economici, istituzionali, politici, che a livello sociale e territoriale si determinano. Detto che il tramonto del FORDISMO non é riducibile a una mera questione di ordine cronologico (non a caso attività nate recentemente, come i call center o i fast food sono strutturate secondo i principi tayloristici – fordisti), si può aggiungere che a questo cambiamento viene dato un nome, POSTFORDISMO, non a caso abbastanza generale da definire un ambito significativamente più vasto di quello che si riferisce alla modificazione tecnologica e organizzativa dei processi di produzione, tanto da rappresentare un riferimento sia per coloro che guardano ai cambiamenti in atto nella società e nell’economia esaltandone il carattere innovativo e l’apertura di nuovi scenari, sia per coloro che all’opposto mettono decisamente in risalto gli aspetti distruttivi e socialmente disgreganti connessi a tale fase dello sviluppo capitalistico.
Con il POSTFORDISMO si modificano molte cose. E si modificano in maniera profonda.
Mutano profondamente, anche in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione, i sistemi, i linguaggi, le forme di comunicazione attraverso le quali le persone stabiliscono rapporti; si sviluppano forme di accumulazione flessibili, capaci di integrare, di mettere in rete, modi, tempi e luoghi di produzione tra loro molto diversi, dalla fabbrica robotizzata alla cascina Hi Tech, dal distretto industriale ai templi della finanza globale; si determinano processi di rilocalizzazione delle risorse strategiche che portano con sé ulteriori processi di inclusione e ulteriori divari (digital divide); l’impresa diventa sempre più un centro di regolamentazione delle transazioni; i processi di competizione si basano più sulla qualità e sulla personalizzazione dell’offerta (con la conseguente necessità da parte delle imprese di rispondere prontamente e in modo flessibile alla domanda) che sui volumi prodotti; vengono definiti nuovi indici di efficacia nell’analisi dei processi produttivi; c’è un diffuso sviluppo del terziario privato, del lavoro autonomo e parasubordinato; si afferma il modello della corporate governance, nascono l’impresa minimale e l’azienda logo.
Le nuove parole d’ordine diventano massima elasticità (minori tempi morti e immobilizzazioni, maggiore prontezza nella messa in opera di nuove produzioni), integrazione dei sistemi di produzione, riduzione dei capitali immobilizzati in scorte e magazzini, fabbrica snella, qualità totale, mentre l’insieme di saperi e conoscenze, il general intellect, diviene il vero capitale sociale, il fattore strategico di sviluppo economico, sociale e produttivo. Del resto sta proprio qui il principale elemento di novità, nel fatto che la conoscenza, accumulandosi, induce nuova conoscenza come fonte primaria di produttività e di mutamento sociale e dunque ha un impatto molto più forte del passato sui processi produttivi, culturali, amministrativi. Anche se ogni modo di produzione ha comportato l’accumularsi di esperienze e saperi, nella fase attuale vi é una sorta di produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza determinata da costanti interazioni produttive, garantite dai sistemi di informazione in generale e dalle particolari nervature comunicative, proprie dei diversi processi produttivi e sociali, che sfruttano tecnologie il cui “core” é costituito da elaborazioni di informazioni che sono, a un tempo, materia prima e prodotto.
Il ruolo essenziale e predominante delle tecnologie dell’informazione nei processi innovativi consiste nello stabilire relazioni sempre più strette tra cultura sociale, conoscenza scientifica, sviluppo dei fattori produttivi.
Il capitale culturale sociale, la capacità collettiva di rielaborazione simbolica, in breve, la capacità del lavoro di elaborare informazioni e generare conoscenza, sono la fonte materiale di produttività. Il legame tra lavoro, produzione di conoscenze, la loro diffusione e socializzazione, la formazione è stretto non tanto nel senso tradizionale dell’apprendere una professione, perfezionarne le tecniche, affinarne le strategie, bensì in quello di una costante e consapevole disponibilità a sovvertire le proprie competenze specifiche e a riciclare le proprie attitudini generiche, in un ricorrente altalenarsi tra occupazione, inoccupazione, formazione. Al rischio, alla flessibilità, alla mobilità che a questa disponibilità conseguono corrispondono sia l’indebolimento dei legami collettivi, sia la costituzione di esperienze reticolari che compongono la costituzione dei soggetti.