A Sarzana ci incontrammo
30 settembre 2006. Andrea Lagomarsini è il presidente di Apai Srl, giovane, dinamica impresa che sviluppa sistemi e tecnologie per la domotica e la sicurezza.
Andrea legge un mio articolo su Nòva 24 e mi invita al numero zero di Tecknos, giornata di discussioni, dimostrazioni, confronti intorno al tema innovazione.
Come sempre devo fare un po’ di conti con gli dei del tempo, ma alla fine decido di andare. Come speravo a Sarzana incontro tante persone interessanti che fanno cose interessanti. Tra queste Antonio Esposito, ingegnere fisico, una vita da ricercatore, da scienziato, da imprenditore.
Come me è made in Naples. Più di me ha una storia incredibile alle spalle. Che scopro ha a che fare anche con il Giappone. E con Piero Carninci.
È il 1994 quando al Cnr di Napoli mi propongono di lavorare per un anno in Giappone. Non sono convinto. Chiedo ed ottengo di limitare l’esperienza a sei mesi. A Tsukuba rimango cinque anni, per due anni insegno alla Technical University di Monaco, poi l’approdo a Ginevra, dove ancora oggi
vivo e lavoro.
Uno che se ne va di malavoglia dalla propria città non ci torna più per molte ragioni. Perché conosce storie, culture, contesti, persone, punti di vista diversi. Perché scopre che tutto questo gli piace. Perché si cala nei nuovi contesti, si fa contaminare da essi, li contamina a propria volta. Perché si ritrova catapultato in una sorta di paradiso della ricerca a fronte di una realtà, quella del Cnr, dove anche le razioni di carta e penna erano un problema.
Ero abituato alle giostre di paese. Mi ritrovo a Disneyland.
Giuro che non esagero. Un mese di lavoro a Tsukuba vale sei mesi a Napoli. Lì ho potuto giocare con gli strumenti e i macchinari giusti, fare ricerca, sperimentare, con una quantità di risorse e una qualità di risultati per me impensabili in Italia.
A Tsukuba incontro Piero e nasce un’amicizia fatta di calcio (nel senso del gioco del pallone) e di scienza. Nel 1997 con Vittorio Palmieri, Luca Casagrande, Gennaro Ruggiero e Francesco Vitobello scopriamo l’RD39, Effetto Lazarus. Che non è il titolo di un film di James Bond. Ma il numero di repertorio ed il nome con il quale si può rintracciare, al Cern di Ginevra, la suddetta scoperta.
Di cosa si tratta? Della possibilità di «resuscitare» le sfoglie di silicio utilizzate per la rilevazione di particelle. Rigenerarle. Farle rivivere. Immergendole in azoto liquido a meno 207 gradi Celsius.
A Napoli per ora non penso di tornare. Ma a Napoli, insieme a Vittorio e Francesco, due della vecchia band di Lazarus, ho messo su la Incept, che sviluppa Technology on Demand. Investendo, facendo ricerca, impresa, cerco di dire che continuo ad amare la mia città.
Lo ritengo il mio esperimento più difficile. Ma ci credo. E non intendo rinunciare alla possibilità di ridare indietro alcune delle cose che l’università e le strutture di ricerca della mia città mi hanno dato, almeno un po’ di ciò che ho imparato in giro per il mondo.
Questo è tutto. Anzi no. Perché, qualche giorno dopo, Piero mi svelerà che Antonio a Tsukuba era chiamato «Dony», nientepopodimenoche l’adattamento made in England della seconda parte del cognome Maradona; che assieme sono diventati famosi per la danza fatta a centrocampo dopo ogni goal (lancio millimetrico di Piero dalla difesa, stop a seguire e rete di Antonio); che il team era soprannominato Rvc, Russian Vodka Ceremony, invece che Japanese Tè Ceremony, in omaggio ai
colleghi russi che al termine della partita erano soliti dissetarsi con una bottiglia di Vodka. Mentre le stelle italiane stavano a guardare.
A questa parte della storia io non ho mai creduto. Forse fareste bene a non crederci neanche voi.