Voglio una vita contaminata
“Era il 1994 quando al CNR di Napoli mi proposero di lavorare per un anno in Giappone. Confesso che sulle prime mi spaventai. Assai poco convinto, chiesi di limitare il viaggio a 6 mesi. Mi dissero di sì. Alla ETL di Tsukuba sono rimasto 5 anni, per 2 anni ho insegnato alla Technical University di Monaco, poi l’approdo a Ginevra, dove oggi vivo e lavoro”.
Antonio Esposito, ingegnere fisico, 43 anni, una vita da ricercatore – scienziato – imprenditore, è lì che aspetta la domanda ineluttabile: perché uno che se ne va di malavoglia dalla propria città poi non ci torna più?
“Perché conosce nuove persone e contesti; osserva storie, culture, punti di vista diversi; scopre che tutto questo gli piace; si cala nel nuovo contesto, si fa contaminare da esso e lo contamina a propria volta. E perché si ritrova catapultato in una sorta di disneyland – paradiso della ricerca a fronte di una realtà, quella del CNR, dove anche le razioni di carta e penna erano un problema”.
Non ti sembra di esagerare?
“Purtroppo no. Dieci giorni di lavoro a Tsukuba erano equivalenti a sei mesi a Napoli. Lì ho potuto ‘giocare’ con gli strumenti e i macchinari giusti, fare ricerca, sperimentare, con modalità che per quantità di risorse e qualità di risultati erano impensabili in Italia”.
Ad esempio?
“Lavoravo sui superconduttori con l’obiettivo di realizzare dispositivi ad altissima velocità, 800 GHz, mille volte più veloce di quelli in uso e mi sono accorto di aver fabbricato il film-sottile più piatto del mondo (dello spessore degli Angstrom, unità di misura che si usa al livello atomico) con una superficie regolarissima, fatta di pochi strati atomici. Insomma cercavo un dispositivo e ho trovato un nuovo materiale”.
Che serve a…?
“A tantissime cose: costruire computer davvero superveloci, rendere lo sportello della tua auto perfettamente liscio e regolare, evitare la dispersione elettrica, ecc.”
Il tuo messaggio nella bottiglia?
“La voglia di contaminare e di essere contaminato.
La micro azienda di sviluppo di alta tecnologia che ho avviato a Napoli, la INCEPT, è in fondo un modo per riportare questa esperienza di contaminazione nella mia città”.